24 fotogrammi in 4 parole


Discorso sulle donne. Natalia Ginzburg.
dicembre 15, 2008, 10:17 PM
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Leggendo un post di nonsolomamma mi imbatto in un suggerimento di lettura che prontamente condivido con chi vorrà leggerlo. Si tratta del Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg (da pag.27 a pag. 36), un carteggio epistolare con Alba de Cèspedes.
Si può facilmente intuire che la lettura di questo carteggio è piuttosto femminile. Dedicato a certe donne. Non a tutte. Ma anche gli uomini più coraggiosi sono i benvenuti.
Tutto comincia dal post sui buchi neri, o sui pozzi, in cui ogni tanto le donne, certe donne, si sentono intrappolate. Il post ha sollecitato, nelle prime ventiquattro ore dalla sua pubblicazione, oltre 100 commenti, tutti di solidarietà, di comunanza. Esperienze, suggerimenti, punti di vista.
Mi sono letta il discorso, partendo ovviamente dal post. Il concetto cardine del carteggio della Ginzburg verte su queste due prospettive: i pozzi oscuri dentro cui spesso le donne cadono sono una forza distintiva, segno di profondità e contatto con le proprie radici emotive (De Cèspices) o sono una paura di cui liberarsi per cominciare a stare nel mondo. A fare cose per il mondo (Ginzburg)?
Sensibilità o prigione, insomma?
Tratto distintivo migliorativo o peggiorativo?

Vi invito a leggere il post, i commenti e il contributo letterario. Magari il pozzo ci sembrerà meno profondo. Magari avremo voglia di metterci una pietra sopra e chiuderlo per sempre o forse tenercelo caro, come un rifugio a tratti dolente ma tremendamente nostro.



una storia vera di ordinaria follia femminile
giugno 24, 2008, 12:03 PM
Filed under: amore e dintorni | Tag:

Non avere un atteggiamento inquisitorio. Mi raccomando, le avevo detto decisa.
Rossella (bionda e liscia) mi aveva raccontato di aver trovato, sulla coperta del suo uomo, un capello lungo, riccio e nero.
Il sospetto era stato immediato.
“Cosa faccio, secondo te?” mi aveva chiesto Rossella.
Digli che ti hanno detto di averlo visto uscire di casa con una bruna, riccia, capello lungo. Scherzaci su. Non drammatizzare. In fondo – al momento – non è successo nulla, no?
“Sì, ma IO devo sapere”.
Si, d’accordo, ma se lo interroghi come Zenigata non hai speranza alcuna di capire e ti rimarrà il sospetto che ti stia mentendo. Chiediglielo con calma senza che lui debba dimostrare un reato che tu gli hai già imputato. Ok?
“Si, hai ragione”.
Sei tranquilla, vè? In fondo tu vuoi capire, non punire, giusto?
“Giusto! Grazie è sempre bello parlare con te, amica mia!”. Questo mi disse Rossella facendomi credere d’averla rassicurata.

2 giorni dopo. Stesso bar, angolo confessioni. Lei una coca cola io un caffè freddo.

Allora? come è andata la conversazione con lui? sei riuscita a capire?
“Capire?” “Conversazione!!!?” “Sticazzi!!”
Che è successo? chiedo allarmata.
“L’altro pomeriggio eravamo in relax sul letto – mi dice lentamente – ad un certo punto, quando ho visto che era tutto tranquillo, gli ho detto di aspettare un secondo…
e che hai fatto?
mi sono girata verso il cassetto ed ho tirato fuori il capello!
Co-co-cosaaaa??? Hai conservato il capello nel cassetto?
Si. In una bustina di quelle per congelare il cibo?
Cosaaa? come nei film?? hai conservato una prova come si fa sulla scena del delittooo?
Sì. Embè!?!
Oh, ma non t’avevo detto niente ispettore Zenigata? Non ci credo, hai conservato il cap…
“Sì, vabbè, non ci sono riuscita. Insomma…mi giro verso di lui e gli dico: cos’è questo?”
O-mio-ddio.
“E lui fa faccia sorpresa”.
Fa la faccia, eh? Ma dai? E come maaai?
Lei: cos’è questo???
Lui: e che ne so io? cos’è? mi sembra un capello…
Lei: e di chi èèèè?? dice Rossella.
Lui: e che ne so? oh ma che sta succedendo? ribatte, interdetto.

Io: gli hai chiesto anche dov’era tra le 4 e le 5 del pomeriggio di domenica scorsa?
La mia amica ride.
Ma che te ridi???

Alla fine i due hanno fatto pace. Lui ha farfugliato due scuse, mi dice la signora Zenigata, e poi ha buttato il capello. Ma non il sacchetto.

Certo! Vedi mai dovesse trovare un po’ di pellicina sospetta!



Sophie Calle come Pazienza e Cartesio
aprile 28, 2008, 10:50 PM
Filed under: amore e dintorni, anima, poesia, segnali di fumo | Tag: , ,

opera di sophie calle

Sophie Calle è una artista molto amata dal pubblico che segue l’arte contemporanea e in particolar modo quella cosiddetta neointimista.
La Calle è una che fa dell’osservazione della vita altrui, e della propria, un’opera d’arte.
Hanno scritto di lei:

    Le idee sono nell’aria, quindi sono di tutti. Ma l’unico tratto che distingue oggi l’arte dagli altri oggetti e pratiche della vita più o meno ordinaria è la firma, dalla cui “istituzione” dipende ogni ulteriore valorizzazione estetica. Catturare le idee e poi ridistribuirle come pezzo del proprio vissuto soggettivo: è il tratto costante e comune delle opere concettuali di Sophie Calle. Ossia fare del mondo, di ogni cosa del mondo, la propria autobiografia. In fondo è un’operazione squisitamente filosofica, non molto diversa, ad esempio, dal Discorso sul metodo di Cartesio. E’ anche l’essenza di ogni vocazione letteraria. Il voyeurismo concettuale e autobiografico di Sophie Calle – che tanti imitatori ha avuto in questi anni con la diffusione del genere “documentario” nelle arti visive e nel cinema – consiste nell’essere insieme autori e attori della propria opera.

Un giorno, mesi fa, una mia cara amica mi ha girato questo file dicendomi che prima o poi avrei saputo che farmene. Ed io l’ho fatto.
Mi ha ricordato Andrea Pazienza e non so ancora bene perchè.



la persona de leo n.
febbraio 28, 2008, 12:29 am
Filed under: amore e dintorni, anima, cinema, transessuali | Tag:

Mi imbatto in un film in dvd dal titolo non eccessivamente accattivante ma che acquista il proprio significato già dopo le prime scene. Un film/documentario sulla storia di una persona e della sua transizione. La persona De Leo N.
Un film molto bello, una storia che ha scavato nelle mie viscere e scosso tutti i pensieri ancora in fila su altri fronti.

Oggi si parla di transessuali, di uome e donni (leggevo a tal proposito qualcosa su un D la repubblica delle donne qualche domenica fa). Si discute sulle questioni di genere. Questioni di identità. Ma a che serve discuterne senza avere un punto di vista intimo, direi quasi anatomico e propriocettivo? Questo è ciò che quest’opera riesce ad avere. E a dare: uno sguardo intimo sulla transizione di genere.
“Il mio sforzo è sempre quello di adottare un punto di vista il più possibile vicino a quello del personaggio che vorrei conoscere e raccontare. E dico personaggio proprio perché questo è quello che accade nel cinema di finzione – dice il regista Alberto Vendemmiati – “per il documentario invece ci vuole tempo, tanto tempo. E’ il suo fascino. E quando qualcuno non coinvolto in un racconto mi spiega qualcosa, non mi convince, soprattutto se quel qualcosa è una grande sofferenza”.

Questo film/documentario attiva un processo di identificazione; non tanto con il personaggio quanto con l’esigenza umana della persona di nutrire e costruire il libero arbitrio rispetto alla gestione della propria vita. La certezza che l’irreversibilità della vita passa attarverso la reversibilità delle scelte.

La persona De Leo N.
è un viaggio che parte dal biologico per arrivare ad un’etica certezza che la protagonista stessa (della propria vita e del film) sintetizza così:
sono una persona che è nata per essere se stessa. Dopo la prima partita ho rimischiato le carte per giocare la rivincita ed ho vinto.

Cercatelo e vedetelo.



un cuore a lunga conservazione
febbraio 20, 2008, 10:53 PM
Filed under: amore e dintorni, anima, città | Tag:

Vorrei chiudere il cuore in un foglio di pellicola trasparente e stringere forte perchè non perda il suo vermiglio succo.
Vorrei impacchettarlo ad arte, stendendo i lembi del foglio perchè non si formino quelle irritanti cicatrici di plastica in cui non trovi mai l’entrata quando la cerchi e ti costringono a scassinare il pacchetto con coltelli affilati.
Vorrei prendere il mio cuore, così confezionato, e riporlo in fondo nello scomparto del frigo insieme all’insalata e al burro. Nascosto perchè nessuno lo veda. Nascosto e ben conservato al freddo e al buio. E nel microclima che si forma negli spazi – atomi – infinitesimali, tra questo cuore e la sua pellicola, lì riporre i muschi e i licheni. A protezione.
Ho un cuore a lunga conservazione io, si sa. Solo il cielo sa come fa a mantenersi ancora integro senza conservanti e polifosfati.

Quello che voglio dire è che tutti i giorni, uscendo e tornando a casa, passo attraverso un luogo che è una galleria di vento umano straordinaria. Ha una stufetta d’inverno e un ventilatore d’estate e un uomo che se ne prende cura. I passanti lasciano solo passi ma lì dentro, questi passi, sembrano uniti da una comune coreografia, un Bolshoi metropolitano che a riprenderlo con una videocamera lasceremmo ai posteri un monumento della vita urbana di valore storico. Se la storia così come la conosciamo avrà ancora un senso. Vorrei portarci ognuno di voi per vedere se fa lo stesso effetto che dopo due anni e mezzo fa a me. Ancora.
Due anni e mezzo.

Sì, d’accordo: non bisogna coltivare l’attesa ma la speranza affinchè questo cuore si conservi bene per vedere ancora. Sentire i passi.
E amare.

Così ho risposto a tutti. :-) Credo.



I titoli con dentro la pioggia
gennaio 12, 2008, 2:44 PM
Filed under: amore e dintorni, canzoni, libri

Ci sono 289 titoli di film che hanno la parola “rain” nel titolo. Di tutti, in assoluto, nomino film del giorno Prima della pioggia di Milcho Manchevski. Un film raro per bellezza, tecnica, contenuti, fotografia, intensità.

Innumerevoli, poi, i titoli delle canzoni che contengono la parola “rain”. Dalla fin troppo semplice Puprle Rain di Prince a November Rain dei Guns ‘n’ Roses, da Rain dei Beatles a Bob Dylan con A Hard Rain’s Gonna Fall. Ma nomino canzone del giorno Singing in the Rain cantata da Gene Kelly.

E se vi trovaste accanto ad una finestra a leggere La pioggia prima che cada, l’ultimo di Jonathan Coe (lo stesso del bellissimo “La casa del sonno”), avreste una giornata – quasi – sinestetica.

Dietro la pioggia si nasconde un mistero.
Chi lo indovinerà?
Fitta – oggi – mi ipnotizza, sospende i sopetti, ammutolisce i silenzi, si prende cura di me, separandomi. Mi uccide, per farmi rinascere.
La trasmigrazione della mia anima è in atto. Non so – tuttavia – quanto durerà.
Il tempo di un fortunale. E quello che rimarrà di me sarà solo una pozzanghera.
Quello che rimarrà di me sarà migliore di quel che sono adesso.



Al di là di tutto
agosto 29, 2007, 8:08 am
Filed under: amore e dintorni, anima, morte

Questa estate mi sono capitate tante cose legate alla morte. L’ultima ieri sera. E mi vien da pensare, legata agli ossimori come sono, che la morte vitale delle cose affranca da una vita mortale.

La camera ardente si apriva alla fine del corridoio accanto alla sagrestia della chiesa. L’ ingresso era stretto e lungo e tappezzato di poster bucolici pieni di farfalle e fiori, qua e là qualche tavolino di fortuna a reggere opuscoli sulla carità e sulla parete sinistra una bacheca piena zeppa di avvisi. Quella stanza era stata allestita velocemente con lo stretto necessario per la veglia funebre: al centro la bara, chiusa. Addossate alle pareti, le sedie per i parenti più stretti, due ceri alla testa del feretro ed un ventilatore affaticato e inadeguato a ricambiare l’aria pesante e umida.

Seguivo mia madre, diretta a condolersi con la moglie del defunto. Lei conosce la mia timidezza quando si tratta di riti formali pur sempre toccanti e si è sentita in obbligo di dovermi dare istruzioni su come fare: prima la moglie, poi i figli. E non dire, come al tuo solito, mi dispiace. Dì solo condoglianze.

In fila diligente per baciare la vedova arriva anche il mio turno. Mi chino per stringere la donna e le sussurro un ribelle mi dispiace tanto.
Mentre mi rialzo, noto che proprio sulla testa della donna alle sue spalle era attaccato, tenuto da puntine, un cartoncino bristol, come quelli che si usano per le ricerche di scienze della scuola media, scritto fitto con il pennarello blu. I versi di Madre Teresa erano trascritti a caratteri tondeggianti e addolciti da qualche voluta. Un titolo grande in stampatello: LA VITA. Faccio un passo indietro, mi accorgo d’essere equidistante tra il feretro – alle mie spalle – e i versi sulla vita – lì davanti a me.

Solo due ore prima avevo avuto una telefonata difficile, un dialogo complicato in cui io non avevo saputo dir nulla, ammutolita com’ero dalla difficoltà di non dire cose banali di fronte alle difficoltà e la voglia di esprimere i miei sentimenti. E quindi – per paura di dire la cosa sbagliata – ero stata zitta.
Mentre leggevo quei versi avevo la sensazione che Madre Teresa mi stava mettendo sulla punta delle dita le parole che non avevo saputo trovare prima.

Ho cercato un pezzo di carta sul quale trascrivere, ho trovato uno di quei giornali dell’azione cattolica pieni di fotografie dei paesi del terzo mondo, ho scelto la pagina più chiara e l’ho ricopiato parola per parola.

La vita è un’opportunità, coglila
la vita è bellezza, ammirala
la vita è beatitudine, assaporala
la vita è un sogno, fanne realtà
la vita è una sfida, affrontala
la vita è un dovere, compilo
la vita è un gioco, giocalo
la vita è preziosa, abbine cura
la vita è una ricchezza, conservala
la vita è amore, godine
la vita è un mistero, scoprilo
la vita è promessa, adempila
la vita è tristezza, superala
la vita è un innno, cantala
la vita è una lotta, accettala
la vita è un avventura, rischiala
la vita è felicità, meritala
la vita è la vita, difendila.

(per te)



a-mors: senza morte
agosto 24, 2007, 9:04 am
Filed under: amore e dintorni, anima, morte | Tag:

Questo è un fatto realmente accaduto qualche giorno fa. Una persona a me molto cara me ne ha parlato, ho chiesto e avuto il suo consenso per raccontarlo a modo mio. Solo i nomi non corrispondono alla realtà, tutto il resto è dimostrazione che il vuoto non esiste. Nè l’assenza. Nè la distanza.

La prossima volta gli avrebbe portato un girasole. Ma non quella mattina.
Erano anni, tantissimi e lunghi, che non metteva piede in quel cimitero, le dava inquietudine sapere che suo padre e suo fratello erano costretti in un rettangolo di marmo.
In posti come quelli la pietra bianca restituisce la luce del sole sotto forma di quiete. Ma lei di quella quiete non aveva mai voluto sentirne parlare. Figuriamoci la luce. Perché poi avrebbe dovuto? per fare finta che ci fosse ancora un luogo, una casa a cui far visita? Prego, accomodati, vuoi un bicchiere d’acqua?
Nemmeno una volta, da quel giorno funesto, nemmeno una volta era andata lì – anche solo per accarezzare i volti di quelle foto. E poi i fiori. Quelli appassiscono; meglio niente allora. Non voglio più veder finire le cose, pensava.

Ma Francesco era morto da poche settimane e questa volta non poteva più rimandare. Quella mattina Giulia uscì di casa decisa.
I lutti le avevano lasciato solchi tutt’attorno ai pensieri, e per anni aveva portato con sé quella strana malinconia di chi sente troppa differenza tra il pieno e il vuoto, l’assenza e la presenza, il silenzio e la parola. Io, voi. Come se ci fosse un muro che divide i vivi dai morti; e il muro – per Giulia – era quel luogo.
Oltrepassò il cancello e pensò -chissà perchè – alla sua professoressa di latino quel giorno quando le chiese di declinare la parola morte: mors-mortis…

Camminando lentamente aveva superato i padiglioni affollati di gente e si era fermata nell’ala est, dove avevano sepolto Francesco.
I gradini sottostanti alla lapide erano bollenti, avevano ingoiato centinaia di passi e tutto il calore di quei giorni d’agosto. Si era seduta e aveva cominciato a parlargli. Nessuno mi prenderà per pazza se parlo con un morto, vero?
Ma nell’ala est non passava nessuno, c’era calma. La quiete.
“Ti volevo portare il mio fiore preferito, Francè…” – comincio a bisbigliare. “Un girasole. Uno soltanto. “La prossima volta, promesso, te lo porto. Ma te ne sei andato così all’improvviso e sono ancora arrabbiata con te” – continuò tra i denti.
“Tu che volevi fare un sacco di cose, tu che dicevi che prima o poi avresti fatto far pace a mamma e Silvia. E solo tu, credo, ce l’avresti fatta a riunirle quelle due. Ma te ne sei andato prima… Il girasole, però, te lo porto lo stesso. La prossima volta”.

Girò la testa per asciugarsi le lacrime e in quel momento vide una sagoma avvicinarsi. Più in là la gente distribuiva mazzi di fiori. Ma lì, in quel momento, c’era solo lei. E Silvia che si avvicinava lentamente.
Silvia si ferma, Giulia la guarda incredula; Silvia aveva un fiore in mano, uno solo. Un girasole bellissimo.
Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui l’aveva vista, anni da quando aveva litigato con sua madre.

Nell’impossibilità di pronunciare parole, si abbracciarono piano.

Silvia cominciò a raccontare a Giulia di come quella mattina aveva pensato, senza sapere bene il perchè, di portare un girasole a Francesco: non i garofani, una rosa o qualche giglio.

Si congedarono con una promessa taciuta negli occhi.
Giulia lasciò quel luogo lentamente, così come era entrata, e mentre oltrepassava l’uscita pensò alla parola amore che in latino si dice amor, a-mors: senza morte.
A-mors. Senza morte.



per mia sorella (piccola digressione personale)
giugno 21, 2007, 10:29 PM
Filed under: amore e dintorni, anima, ecografia, sorella

Ti ricordi quando facevamo il gioco di contare le lucine di natale alle finestre dei palazzi mentre papà guidava?
Quando ti ho rotto gli occhiali sedendomici sopra dopo un lungo inseguimento, lo so te lo ricordi. E di quando ti facevo spaventare nascondendomi dietro le porte.
Quante volte abbiamo litigato? Quante volte ti ho difesa? Quante volte mi hai compresa?
Ti ricordi quella sera che ti sei infilata nel mio letto e – tenendomi stretta – mi hai svelato il tuo segreto di adolescente?
Ti ricordi quando a vent’anni hai provato a diventare minuscola e trasparente per tornare nella pancia di mamma? Il tempo ha guarito le ferite, ormai.
piccoloamore3.jpg
Adesso questo piccolo miracolo sta dormendo nella tua pancia e il pensiero di tanta vita è gioia quotidiana. Nutrimento per la speranza.



off topic
aprile 17, 2007, 10:07 PM
Filed under: amore e dintorni, anima

ma che cos’è mai che mi fa credere ancora, mi riga gli occhi d’amore e mi addormenterà dalla parte del cuore…

(Forse C.Baglioni lo ha scritto per certe notti come questa mia in cui non riesco a dire nulla di più)