24 fotogrammi in 4 parole


Al di là di tutto
agosto 29, 2007, 8:08 am
Filed under: amore e dintorni, anima, morte

Questa estate mi sono capitate tante cose legate alla morte. L’ultima ieri sera. E mi vien da pensare, legata agli ossimori come sono, che la morte vitale delle cose affranca da una vita mortale.

La camera ardente si apriva alla fine del corridoio accanto alla sagrestia della chiesa. L’ ingresso era stretto e lungo e tappezzato di poster bucolici pieni di farfalle e fiori, qua e là qualche tavolino di fortuna a reggere opuscoli sulla carità e sulla parete sinistra una bacheca piena zeppa di avvisi. Quella stanza era stata allestita velocemente con lo stretto necessario per la veglia funebre: al centro la bara, chiusa. Addossate alle pareti, le sedie per i parenti più stretti, due ceri alla testa del feretro ed un ventilatore affaticato e inadeguato a ricambiare l’aria pesante e umida.

Seguivo mia madre, diretta a condolersi con la moglie del defunto. Lei conosce la mia timidezza quando si tratta di riti formali pur sempre toccanti e si è sentita in obbligo di dovermi dare istruzioni su come fare: prima la moglie, poi i figli. E non dire, come al tuo solito, mi dispiace. Dì solo condoglianze.

In fila diligente per baciare la vedova arriva anche il mio turno. Mi chino per stringere la donna e le sussurro un ribelle mi dispiace tanto.
Mentre mi rialzo, noto che proprio sulla testa della donna alle sue spalle era attaccato, tenuto da puntine, un cartoncino bristol, come quelli che si usano per le ricerche di scienze della scuola media, scritto fitto con il pennarello blu. I versi di Madre Teresa erano trascritti a caratteri tondeggianti e addolciti da qualche voluta. Un titolo grande in stampatello: LA VITA. Faccio un passo indietro, mi accorgo d’essere equidistante tra il feretro – alle mie spalle – e i versi sulla vita – lì davanti a me.

Solo due ore prima avevo avuto una telefonata difficile, un dialogo complicato in cui io non avevo saputo dir nulla, ammutolita com’ero dalla difficoltà di non dire cose banali di fronte alle difficoltà e la voglia di esprimere i miei sentimenti. E quindi – per paura di dire la cosa sbagliata – ero stata zitta.
Mentre leggevo quei versi avevo la sensazione che Madre Teresa mi stava mettendo sulla punta delle dita le parole che non avevo saputo trovare prima.

Ho cercato un pezzo di carta sul quale trascrivere, ho trovato uno di quei giornali dell’azione cattolica pieni di fotografie dei paesi del terzo mondo, ho scelto la pagina più chiara e l’ho ricopiato parola per parola.

La vita è un’opportunità, coglila
la vita è bellezza, ammirala
la vita è beatitudine, assaporala
la vita è un sogno, fanne realtà
la vita è una sfida, affrontala
la vita è un dovere, compilo
la vita è un gioco, giocalo
la vita è preziosa, abbine cura
la vita è una ricchezza, conservala
la vita è amore, godine
la vita è un mistero, scoprilo
la vita è promessa, adempila
la vita è tristezza, superala
la vita è un innno, cantala
la vita è una lotta, accettala
la vita è un avventura, rischiala
la vita è felicità, meritala
la vita è la vita, difendila.

(per te)



Libero comic, in libera mente
agosto 27, 2007, 12:15 PM
Filed under: Senza categoria

L’header che campeggia sulla fronte di questo blog è un dono di Mak.
Non ho parole.
Lascio ai vostri occhi il giudizio, al vostro cuore le parole.



a-mors: senza morte
agosto 24, 2007, 9:04 am
Filed under: amore e dintorni, anima, morte | Tag:

Questo è un fatto realmente accaduto qualche giorno fa. Una persona a me molto cara me ne ha parlato, ho chiesto e avuto il suo consenso per raccontarlo a modo mio. Solo i nomi non corrispondono alla realtà, tutto il resto è dimostrazione che il vuoto non esiste. Nè l’assenza. Nè la distanza.

La prossima volta gli avrebbe portato un girasole. Ma non quella mattina.
Erano anni, tantissimi e lunghi, che non metteva piede in quel cimitero, le dava inquietudine sapere che suo padre e suo fratello erano costretti in un rettangolo di marmo.
In posti come quelli la pietra bianca restituisce la luce del sole sotto forma di quiete. Ma lei di quella quiete non aveva mai voluto sentirne parlare. Figuriamoci la luce. Perché poi avrebbe dovuto? per fare finta che ci fosse ancora un luogo, una casa a cui far visita? Prego, accomodati, vuoi un bicchiere d’acqua?
Nemmeno una volta, da quel giorno funesto, nemmeno una volta era andata lì – anche solo per accarezzare i volti di quelle foto. E poi i fiori. Quelli appassiscono; meglio niente allora. Non voglio più veder finire le cose, pensava.

Ma Francesco era morto da poche settimane e questa volta non poteva più rimandare. Quella mattina Giulia uscì di casa decisa.
I lutti le avevano lasciato solchi tutt’attorno ai pensieri, e per anni aveva portato con sé quella strana malinconia di chi sente troppa differenza tra il pieno e il vuoto, l’assenza e la presenza, il silenzio e la parola. Io, voi. Come se ci fosse un muro che divide i vivi dai morti; e il muro – per Giulia – era quel luogo.
Oltrepassò il cancello e pensò -chissà perchè – alla sua professoressa di latino quel giorno quando le chiese di declinare la parola morte: mors-mortis…

Camminando lentamente aveva superato i padiglioni affollati di gente e si era fermata nell’ala est, dove avevano sepolto Francesco.
I gradini sottostanti alla lapide erano bollenti, avevano ingoiato centinaia di passi e tutto il calore di quei giorni d’agosto. Si era seduta e aveva cominciato a parlargli. Nessuno mi prenderà per pazza se parlo con un morto, vero?
Ma nell’ala est non passava nessuno, c’era calma. La quiete.
“Ti volevo portare il mio fiore preferito, Francè…” – comincio a bisbigliare. “Un girasole. Uno soltanto. “La prossima volta, promesso, te lo porto. Ma te ne sei andato così all’improvviso e sono ancora arrabbiata con te” – continuò tra i denti.
“Tu che volevi fare un sacco di cose, tu che dicevi che prima o poi avresti fatto far pace a mamma e Silvia. E solo tu, credo, ce l’avresti fatta a riunirle quelle due. Ma te ne sei andato prima… Il girasole, però, te lo porto lo stesso. La prossima volta”.

Girò la testa per asciugarsi le lacrime e in quel momento vide una sagoma avvicinarsi. Più in là la gente distribuiva mazzi di fiori. Ma lì, in quel momento, c’era solo lei. E Silvia che si avvicinava lentamente.
Silvia si ferma, Giulia la guarda incredula; Silvia aveva un fiore in mano, uno solo. Un girasole bellissimo.
Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui l’aveva vista, anni da quando aveva litigato con sua madre.

Nell’impossibilità di pronunciare parole, si abbracciarono piano.

Silvia cominciò a raccontare a Giulia di come quella mattina aveva pensato, senza sapere bene il perchè, di portare un girasole a Francesco: non i garofani, una rosa o qualche giglio.

Si congedarono con una promessa taciuta negli occhi.
Giulia lasciò quel luogo lentamente, così come era entrata, e mentre oltrepassava l’uscita pensò alla parola amore che in latino si dice amor, a-mors: senza morte.
A-mors. Senza morte.



Vorrei essere Cyrano de Bergerac
agosto 10, 2007, 9:12 am
Filed under: anima, baricco, cyrano, eugenio allegri, monologo cyrano

Cyrano è un personaggio raro, guascone temerario e libero, brutto, nasone, irriverente.
E’ proprio lui che, rispondendo alle critiche dei suoi amici che cercano di convincerlo a legarsi a un signore potente affinchè qualcuno possa pagare i suoi versi e renderlo ricco, parla – appunto – del Mercurio Francese.
E lo fa con uno dei monologhi più belli mai scritti. Che vi consiglio di leggere per intero, io qui vi lascio il link dove potrete sentirlo recitare da Eugenio Allegri, introdotto da Baricco in quell’esperimento televisivo coinvolgente che è stato Totem.
Vi consiglio di ascoltarlo con attenzione qualora non l’abbiate mai sentito. E di ascoltarlo ancora e ancora qualora lo conosciate bene, come me, per ricordarsi che essere intellettualmente onesti non sempre ripaga in danè ma…vabbè lo lascio dire a lui. Cyrano, tocca a te.

[…]
E sempre sospirare, pregare a mani tese:

– Pur che il mio nome appaia nel Mercurio francese?

No, grazie! Calcolare, tremar tutta la vita,

far più tosto una visita che una strofa tornita,
servir suppliche, farsi qua e là presentare?…
Grazie, no! grazie no! grazie no! Ma… cantare,

sognar sereno e gaio, libero, indipendente,
aver l’occhio sicuro e la voce possente,

mettersi quando piaccia il feltro di traverso,
per un sì, per un no, battersi o fare un verso!

Lavorar senza cura di gloria o di fortuna,
a qual sia più gradito viaggio, nella luna!
Nulla che sia farina d’altri scrivere, e poi

modestamente dirsi; ragazzo mio, tu puoi
tenerti pago al frutto, pago al fiore, alla foglia

pur che nel tuo giardino, nel tuo, tu li raccolga!
Poi, se venga il trionfo, per fortuna o per arte,

non dover darne a Cesare la più piccola parte,
aver tutta la palma della meta compita,

e, disdegnando d’esser l’edera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto

salir anche non alto, ma salir senza aiuto!



L’haiku, il canemucca e la poetastra
agosto 7, 2007, 8:26 am
Filed under: poesia, segnali di fumo

Segnalo qui un blog che tutti dovrebbero avere nel proprio spazio mentale per ricordarsi che esistono anche altri modi di dire le cose. Ma soprattutto segnalo, ehm ehm, il post dedicatomi da Mak (il padre di canemucca) al fine di sputtanare (si può dire sul blog?) l’header con tutto il contenuto e di elogiare la sottoscritta.
No, no. Non ho pagato nessun obolo per apparire sul suo mercurio francese (vediamo chi è capace di cogliere questa citazione) ma abbiamo sottoscritto una specie di patto implicito di baratto: lui mi ha donato uno spazio che si chiama la 24simarima (scrollate un pochetto sul suo sito e guardate a destra), io mi cimenterò nella composizione di haiku de noantri come quello già online.